Una storia di delinquenza comune. La banda del “sergente Romano”
L’operato essenzialmente criminale dei briganti, inclusi quelli attivi dopo il 1860, finì con l’essere apertamente denunciato a partire dal 1863 dagli stessi pubblicisti borbonici e clericali, che d’altronde già in precedenza s’erano trovati in forte imbarazzo nel dover spiegare la totale assenza di legittimisti alla testa delle bande, che non fossero i pochissimi nobiluomini stranieri al soldo di Francesco II, quali Borjes o Tristany, che comunque ebbero davvero scarso e breve ruolo nel brigantaggio. (1)
L’unica eccezione d’un legittimista meridionale a capo di una banda di briganti è quella di Pasquale Romano, oggigiorno conosciuto come “sergente Romano” poiché aveva ottenuto questo grado nell’esercito borbonico. Egli però pretendeva di farsi chiamare dai suoi seguaci come “maggiore”, grado che si era attribuito da sé, e col soprannome retorico di “Enrico La Morte”. Comunque, avendo la particolarità d’essere stato in pratica l’unico capobrigante ad essere un autentico legittimista politico, Pasquale Romano alias Enrico La Morte ha ricevuto dalla propaganda separatista attuale molta attenzione, perché si è preteso poter individuare in lui un brigante il cui operato sarebbe stato interamente estraneo ad atteggiamenti delinquenziali e riconducibile all’ipotesi (assurda e totalmente priva di fondamento) d’una sorta di “guerra nazionale” contro un presunto invasore straniero.
In questo tentativo compiuto da una certa pubblicistica si deve anzitutto segnalare l’errore di voler redimere un intero fenomeno, quello del brigantaggio, sulla base di uno dei suoi membri, che d’altronde fu l’eccezione e non la regola. Bisogna già rimarcare il fatto che, delle molte centinaia di bande attive dopo il 1860, soltanto una si può considerare come capitanata da un vero e proprio legittimista e non da un puro criminale comune. In ogni caso, lo stesso “sergente Romano” tenne comportamenti non dissimili da quelli di altri capibanda dell’epoca, come si può provare da una rapida sintesi delle sue principali azioni. (2)
Si deve dare un’avvertenza preliminare. La sintesi sotto riportata ricorda unicamente, in forma molto abbreviata, l’operato della “banda Romano” in senso stretto. È stata quindi esclusa dalla narrazione il ricordo dell’assalto condotto da una turba disordinata di borbonici, capitanati però sempre da Pasquale Romano, alla città di Gioia il 28 luglio 1861. Nel tumulto che ne seguì avvennero diversi assassini, fra cui quello di un bambino d’otto anni, ammazzato a colpi d’ascia perché “colpevole” d’aver detto che voleva Vittorio Emanuele II per re. Vi furono anche casi di cannibalismo (frequente fra i briganti ed affini), con donne che bevvero il sangue di un garibaldino massacrato dalla plebaglia, che poi infierì sul corpo fino a smembrarlo.
È pertanto possibile così riassumere gli accadimenti principali della banda Romano:
-Fine luglio 1862. La banda diede un assalto al quartiere guardie nazionali di Alberobello. Una guardia nazionale, di nome Curri, fu uccisa, altre tre ferite. I briganti derubarono il cadavere dell’assassinato, portandogli anche via le scarpe.
-6 agosto 1862. L’ex sergente Romano condusse la sua banda a sequestrare ed assassinare due contadini della zona nei pressi di Alberobello, precisamente Riccardo Tanzarelli di Ostuni ed Oronzo Terruli. Il primo era “colpevole” d’aver invitato a consegnare alle autorità un paio di briganti che erano stati arrestati di propria iniziativa da un gruppo di contadini (episodio che prova, casomai ve ne fosse bisogno, che i banditi non godevano affatto del consenso universale della popolazione). Il secondo invece era “reo” soltanto d’avere idee liberali e d’aver denunciato un brigante. Tanzarelli fu rapito dalla sua abitazione (un tipico “trullo”), legato e trascinato nei pressi della masseria di tale Marangiuli, in cui si trovava anche Oronzo Terruli. Ivi Tanzarelli fu fucilato per ordine di Pasquale Romano stesso. Terruli invece venne massacrato dopo aver tentato di nascondersi, ricevendo diversi colpi d’arma da fuoco e 27 pugnalate. Durante l’aggressione fu ucciso anche l’anziano Marangiuli, sebbene fosse del tutto estraneo alla vicenda.
-Metà agosto 1862 circa. La banda sequestrò il contadino Vito Angelini di Putignano, perché d’idee liberali. Rapito e legato, fu trascinato sino nel bosco e sottoposto dal “sergente Romano” ad una farsa di processo, al termine del quale fu condannato a morte e fucilato. Il contadino riuscì però a sopravvivere ed a trascinarsi sino ad una masseria vicina, dove fu curato.
-Settembre ed ottobre 1862. La banda Romano si trasferì nella penisola salentina, dedicandosi a bruciare i raccolti e le masserie dei contadini e dei proprietari ritenuti liberali.
-23 ottobre 1862. Un gruppo di guardie nazionali s’imbatté nei briganti e fuggì. La banda rincorse i fuggiaschi e ne catturò dodici. Tre di questi, legati, furono fucilati. I restanti ebbero le orecchie mozzate: soltanto due fra questi scamparono alla mutilazione ed unicamente perché avevano le teste fasciate per le ferite. Un brigante, Francesco Monaco di Ceglie Messapica, amputò il mento ad un cadavere, lo fece seccare e lo portò con sé come trofeo. Anche le orecchie tagliate furono conservate dai membri della banda del “sergente Romano” ed usate per intimidire i contadini.
-14 novembre 1862. Pasquale Romano fece fucilare tre suoi briganti, i fratelli Montanaro di Latiano.
-21 novembre 1862. La banda irruppe in un paese indifeso, Carovigno, saccheggiando e devastando abitazioni private e negozi.
-21 novembre 1862. Subito dopo il saccheggio di Carovigno la banda ebbe uno scontro a fuoco con un reparto di carabinieri e di guardie nazionali. Essa venne respinta e sconfitta, ma riuscì a fare un prigioniero, la guardia nazionale Michele Catamarò, che venne condannato a morte. Il carnefice fu il brigante Antonio Briante, che gli recise la gola con un coltellaccio.
-22 novembre 1862. La banda rapì l’agricoltore De Biase, un patriota italiano. Dopo il sequestro, il “sergente Romano” chiese alla famiglia 1000 piastre per restituirlo. I familiari però non disponevano di una somma simile e si offrivano di pagare subito 300 piastre ed il resto in seguito. De Biase fu così portato via dai briganti e poi assassinato.
-2 dicembre 1862. In tale data, per la prima volta la banda Romano si trovò a combattere con un reparto di fanteria dell’esercito regolare. I briganti furono colti di sorpresa nelle vicinanze della masseria dei Monaci di san Domenico dalla 16° compagnia del 10° reggimento di fanteria. Il loro comandante, il sedicente “maggiore Enrico La Morte” ovvero Pasquale Romano, non era neppure presente al momento dell’attacco. Giunto infine durante il combattimento, pensò bene di gettare via le insegne del suo comando e fuggire travestendosi da semplice gregario, con in testa il berretto di un altro brigante. Visto scappare il loro capo, anche gli altri briganti si diedero alla fuga, subendo gravi perdite. Dopo la sconfitta, i superstiti si riunirono e si insultarono pesantemente, accusandosi reciprocamente di vigliaccheria ed incapacità. Buona parte dei banditi decise d’abbandonare il “sergente Romano”, che al primo vero scontro aveva dato così cattiva prova di sé. Rimasero con lui circa una cinquantina di briganti.
-Dicembre 1862. La banda si dedicò a saccheggiare le masserie della zona di Alberobello e d’altri comuni vicini. Ad esempio, nella notte del 23 dicembre i briganti depredarono la masseria Barsiento.
-30 dicembre 1862. La banda del “sergente Romano” venne intercettata da un reparto di cavalleggeri del “Saluzzo Cavalleria” e fu posta in fuga subendo notevoli perdite. Dopo quest’altra sconfitta, i banditi, scoraggiati, si separarono in due gruppi e con “Enrico La Morte” restarono ancor meno uomini.
-4 gennaio 1863. La banda tese un agguato ad un drappello della guardia nazionale di Altamura, che perse il sergente Arcangelo de Stasi. Questo patriota fu torturato, mentre si trovava in agonia, dal brigante Giuseppe de Caro da Fasano, che gli troncò l’estremità del mento, ornata da pizzo, conservando poi il trofeo sotto sale.
-5. Gennaio 1863. La banda Romano fu nuovamente attaccata dai cavalieri del reggimento “Saluzzo” e quasi interamente distrutta. Il suo comandante perì nello scontro.
Presentata sinteticamente l’attività della banda nei suoi eventi principali, si possono sviluppare alcune considerazioni su questa vicenda:
1) l’attività della “banda Romano” è stata davvero di scarsa rilevanza sul piano militare. Essa ebbe tre scontri con reparti regolari, venendo sconfitta in tutti e tre i casi senza difficoltà. È degno di nota altresì che questo gruppo di briganti cercava d’evitare le unità militari dell’esercito e che, quando le affrontò, fu perché attaccato e costretto a combattere. Gli altri combattimenti coinvolsero le guardie nazionali, ossia reparti volontari di civili. L’ex sergente Pasquale Romano non dimostrò certo particolari doti militari. Basti dire che egli si fece per ben tre volte cogliere di sorpresa dai suoi nemici e che in una circostanza, anziché cercare di rianimare i suoi, scappò dopo aver gettato le insegne del proprio grado, così determinando la rotta dell’orda brigantesca.
2) l’operato di questa banda non differì da quello degli altri gruppi di banditi attivi nel Mezzogiorno: assassini, sequestri di persona, saccheggi, torture e mutilazioni sui prigionieri ed i morti. Ciò fu inevitabile, poiché i suoi componenti erano di delinquenti. Quali uomini componevano la banda di questo ex sergente borbonico? Egli stesso lo racconta in suo testo sgrammaticato. Pasquale Romano così scriveva dei suoi briganti: «Ma siccome in questi esistea il solo sentimento di Rubbare e non mai quello di farsi onore di eguaglianza al mio, incominciavano ad agitarsi contro di me, permettendosi dire fra di lori stessi, noi siamo uscito in campagna e siamo chiamati Ladri e dobbiamo Rubbare e se il nostro Capo non fa come diciami, mala morte farà oppure resterà solo». Malgrado i molti errori grammaticali, il senso del passo è chiaro:
si trattava di criminali comuni interessati al furto e disposti anche ad uccidere il loro capo se avesse cercato d’impedirne le attività delinquenziali. Tra gli accoliti di “Enrico La Morte” si trovavano personaggi come Francesco Monaco di Ceglie Messapica, colpevole di violenza carnale e sequestro di persona, avendo violentato e rapito Rosa Martinelli, una contadina, che fu da egli costretta ad unirsi alla banda. Può aiutare a comprendere ulteriormente la natura dei componenti di tale compagnia il fatto che questo Monaco fu assassinato da altri due briganti suoi commilitoni, tali Elia e De Martini, per ragioni di gelosia amorosa.
3) coloro contro cui combatté il “sergente Romano”, mitizzato ed immaginario campione di una fantomatica “guerra nazionale”, furono in realtà quasi tutti meridionali. Furono i suoi conterranei le vittime del suo operato, dei saccheggi che egli compì, degli assassini e sequestri di persona. Anche i membri della guardia nazionale altro non erano che civili residenti in loco, che prestavano volontariamente il proprio servizio armato nella lotta contro i briganti. Soltanto i reparti dell’esercito avevano italiani provenienti da altre regioni, ma si noti che questo borbonico cercava sistematicamente d’evitarli. Il suo bersaglio erano proprio i suoi corregionali.
Si può pertanto concludere che la “banda Romano” non abbia concretamente operato né con finalità sociali (le sue vittime appartenevano in larga misura ai ceti poveri) né con finalità politiche (essendosi dedicata principalmente o quasi esclusivamente ad attività criminali di bassa lega) e che neppure abbia espresso una qualche rilevanza militare, venendo sconfitta con facilità in ogni confronto dall’esercito regolare italiano. Questo è il curriculum vitae di quella che è stata presentata da alcuni nostalgici come la comitiva brigantesca maggiormente mossa da ideali!
Note Bibliografiche
1) Lo studio senz’altro più documentato sull’argomento è il classico di Franco Molfese, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, Milano 1962; sulla questione specifica dei mercenari stranieri al soldo del sovrano borbonico in esilio come strumenti della sovversione e del terrorismo nel Mezzogiorno, cfr. Aldo Albonico, “La mobilitazione legittimista contro il Regno d’Italia: la Spagna e il brigantaggio meridionale postunitario”, Milano 1979.
2) Il riferimento storiografico principale per tale ricostruzione naturalmente sono i fondamentali studi dello storico Antonio Lucarelli, Il brigantaggio politico nelle Puglie dopo il 1860. Il sergente Romano, Laterza, Bari 1946; Il sergente Romano: notizie e documenti riguardanti la reazione e il brigantaggio pugliese del 1860, Soc. Tip. Pugliese, Bari 1922 (prima edizione).
Dal sito “Nuovo Monitore Napoletano”