Le scuole di Ferdinando
Una delle maggiori e pericolose falsità che vengono diffuse da neo-sudisti «ai friarielli» sulla storia dell’Italia post-unitaria è che subito dopo il 1860 «per trasformare gli abitanti del regno borbonico in analfabeti e servirsene come manodopera a basso costo nelle fabbriche del Nord» le scuole nelle regioni meridionali vennero chiuse per dieci anni, ma qualcuno, più generoso (ma sì, abbondiamo! come diceva Totò), si spinge fino ad affermare che la chiusura durò addirittura per quindici anni. E poiché anche a questa panzana, purtroppo, molti credono, proviamo a fare chiarezza.
Ricordo innanzi tutto che nel 1860 sui 1845 comuni dei domini «al di qua del Faro», e cioè nell’ex Regno di Napoli, solo poco meno della metà fornivano l’istruzione primaria sia maschile che femminile (Cfr. A. Gargano, Maestri e scuola elementare nel Mezzogiorno durante la crisi dell’Unificazione, «Archivio storico per le province napoletane», anno 2012, p. 94).
Al termine dell’anno scolastico 1861-1862 in Abruzzo Citeriore erano aperte 166 classi di scuola elementare frequentate da 4930 alunni. L’Abruzzo Ulteriore I aveva 94 classi con 2965 alunni. In Abruzzo Ulteriore II le classi erano 271, gli alunni 10.823. E questo in una regione nella quale nel 1857, secondo la circolare n. 141 del 27 marzo di quell’anno emanata dal Presidente del Consiglio Generale di P.I. del regno borbonico, monsignor Capomazza, «ne’ comuni di frontiera» mancava «quasi interamente la istruzione primaria», e una simile situazione si registrava anche in tutte le altre province, tanto che Capomazza sollecitava gli Intendenti affinché i Decurionati si adoperassero per trovare maestri e soprattutto maestre per aprire le scuole, autorizzando l’assunzione in qualità di maestre anche di donne che non sapessero leggere, scrivere e l’aritmetica pratica (La circolare è pubblicata in F. Dias, Reali Rescritti, Regolamenti, Istruzioni Ministeriali e Sovrane Risoluzioni riguardanti massime di Pubblica Amministrazione, Presso Giovanni Pellizzone, Napoli 1859, p. 203).
Per quanto riguarda le altre regioni dell’ex Regno delle Due Sicilie, in quello stesso anno scolastico in Basilicata le scuole aperte erano 226 con 8489 alunni; nelle Calabrie 24.251 bambini e bambine frequentavano 718 scuole; in Puglia di alunni ce n’erano 20.611 in 475 scuole; in Molise gli alunni erano 10.046, le scuole 253. La Campania era naturalmente al primo posto in questa classifica con 1541 scuole e 61.884 alunni. (Per questi dati cfr. Statistica del Regno d’Italia. Istruzione primaria. Istruzione elementare pubblica per Comuni, Riepilogo per Province, pp. 216-217, Cappelli, Modena 1863).
Passiamo alla Sicilia. Nella città di Palermo nell’anno scolastico 1858-59 funzionavano nove scuole-classi «lancasteriane» maschili, sette mattutine per i bambini e due serali destinate all’alfabetizzazione di operai ed artigiani, con un totale di 1815
iscritti. A rigore, si dovrebbero sottrarre dal totale gli adulti, per prendere in considerazione solo i ragazzi in età scolare: ma si tenga pure per buona la cifra complessiva. Palermo contava allora circa 190.000 abitanti; la popolazione in età scolare può pertanto stimarsi in circa 26.000 unità. Le scuole comunali erano dunque frequentate da circa il 7% degli «aventi diritto».
Nell’anno scolastico 1864-65 il Comune aveva aperto 139 classi di scuola elementare frequentate da 8083 alunni tra maschi e femmine (Per le fonti, rimando al mio libro Un compito splendidissimo. La scuola elementare della Palermo postunitaria, Palermo, 40due 2020). Si era ancora gli inizi, come si vede: ma le scuole non si chiudevano, si aprivano.
Augusto Marinelli
gravissima ignoranza trascurare che, come in spagna sia allora che ora, e differentemente dal nord italia, nelle Due Sicilie ogni attività pubblica, e in primis l’istruzione, erano fondati su due pilastri, civile e ecclesiastico.
Il PRIN specifico del 2013 dimostra che nelle Due Sicilie preunitario il numero delle scuole era doppio se si consideravano anche le ecclesiastiche, tutte chiuse con il 1860 – dando poi pochi spiccioli ai Comuni per riorganizzarle.
Gravissimo ignorare questo aspetto da parte di chi si prende la briga di pubblicare un libro sul tema.
Alto sospetto di faziosità “juventina”.
Più in generale, ancora non si é capita la portata delle conseguenze dello smantellamento del pilastro ecclesiastico nelle Due Sicilie, data la sua presenza anche superiore a quella statale in ogni dimensione del sociale, sanità in primis.
Luca Sessa non smentisce uno solo dei dati che io presento, limitandosi a sostenere che la presenza di scuole ecclesiastiche avrebbe supplito alle carenze dell’insegnamento pubblico. Non è una contestazione nuova che mi viene mossa dal mondo neoborbonico: ma ogni volta che chiedo la si documenti non mi viene data nessuna risposta. Attendo che il signor Sessa indichi le fonti delle sue affermazioni. Per quanto riguarda gli “spiccioli” dati ai Comuni per riorganizzare le scuole (ma dal testo del signor Sessa sembra che le scuole da riorganizzare fossero quelle ecclesiastiche, il che sarebbe singolare), il confronto tra gli stanziamenti pre e postunitari per l’istruzione nei Comuni non torna a vantaggio del periodo borbonico. Che poi Luca Sessa pretenda di dare un giudizio su un libro che non ha letto, mi sembra molto indicativo .
Per il resto, siccome non mi occupo di calcio, lascio a lui il campionato tra juventini e altri.
Ah, dimenticavo. Luca Sessa potrebbe soprattutto fornirci i riferimenti precisi del “PRIN specifico del 2013” da lui citato in modo che sia possibile consultarlo?
brutta la nonscientificità
lo dico da professore universitario di seconda fascia
se mi prendo la briga di fare un libro su un tema (da capire perché, poi), non prendo solo un taglio dei dati
un paper riceverebbe la desk rejection se prendesse solo una fetta dei dati, qui quelli civili, e non l’intero
non serve leggere il libro o il paper per vedere che è stata presa una fetta, utile solo a dimostrare la tesi per la quale ci si prende la briga
questo è indizio di grave lacuna, ascientifica
domani torno a studio e potrò produrre la foto del libro collettaneo che ha coinvolto decentratamente professori di storia preunitaria di ciascuna regione, trovando più che raddoppio delle scuole preunitarie nei vari comuni delle Due Sicilie rispetto al caso di considerare solo le statali, mentre negli stati del nord nessuna differenza sostanziale
su internet mi pare di avere capito che si tratti di questo PRIN, i cui atti sono stati pubblicati forse nell’anno di questo convegno (a memoria ho citato pubblicazione 2013, perché è l’anno in cui partecipai al convegno):
http://wpage.unina.it/redazione.storia/12-14mag2011.pdf
io non so Lei con chi si sia relazionato fino a oggi, ma se un simile paper o libro fosse referato da me richiederei di colmare anche l’altra gravissima lacuna (cui Lei probabilmente non ha fatto nemmeno caso) ossia contabilizzare i fondi destinati dal governo centrale a ciascun Comune per area geografica, e capirne gli usi, ma glielo anticipo: post-Unità si destinarono gli stessi fondi per abitante ai vari Comuni (lasciando stare delle lacune di rilevazione del primo censimento, svolto con molta popolazione alla macchia per la guerra civile in atto in vaste zone, fra l’altro non note ai funzionari sabaudi in missione), ma al nord le scuole già c’erano, mentre nelle ex-Due Sicilie con quegli stessi fondi dovevano essere sia costruite o locate (essendo in liquidazione il pilastro ecclesiastico) sia organizzate, e solo dopo badare alle spese correnti.
è coerente con tutto ciò l’apertura di nuove scuole pubbliche a Palermo nel 1864 e SOLO nel 1864, ma come sempre i dati sono suscettibili di essere interpretati con la faziosità che si desidera.
lo scoperto scolastico di qualche anno si riflesse nel diverso grado di alfabetizzazione nord-sud nei censimenti successivi.
ilarità, senza altri commenti, sull’illazione che non parlassi di scuole, ma di scuole ecclesiastiche, da ricostituire.
personalmente definisco faziosità juventina la foga (a)scientifica di molti meridionali nella corifea difesa strenua di alcune posizioni da sussidiario.
per ampliare visuali, consiglio l’ascolto delle 5 puntate della mia trasmissione divulgativa Sudterranea, reperibili su http://www.mixcloud.com/Quarantella
grazie
Sig, Sessa, la invito a moderare i termini ed evitare di accusare le persone con cui discute di “non scientificità”, Grazie.
P.S: Lasci perdere il calcio, non siamo in una pagina facebook neoborbonica.
1. Non credo che Lucio Sessa, ancorchè professore universitario di seconda fascia, possa decidere chi e perchè può darsi la briga di scrivere libri. 2. Che nell’intervento precedente Lucio Sessa si riferisse con “riorganizzarle” alle scuole ecclesiastiche non è una illazione, ma una semplice conclusione di carattere grammaticale, basta rileggere il periodo. Il pronome “le” per posizione non può che riferirsi alle scuole ecclesiastiche, termine più vicino, e non alle scuole in genere. 3. Il volume “statistica del Regno d’Italia. Istruzione data da corporazioni religiose” elenca gli istituti di istruzione primaria e secondaria affidati a ordini religiosi ed a congregazioni regolari e secolari nell’anno scolastico 1863-’64. A quel che vi si legge, malgrado si fosse dopo il 1860, non erano tutti chiusi. 4. Io mi stavo occupando del ruolo e dell’impegno delle istituzioni pubbliche nell’opera di alfabetizzazione popolare, dunque non avevo alcuna ragione di inserire nella mia ricerca le scuole ecclesiastiche. 4. L’articolo di G. Denaro, “La sfida dell’alfabetizzazione di massa nella Sicilia postunitaria” in “Rivista di storia dell’educazione” 7(1), pp. 59-70, dimostra che in provincia di Catania si aprì un buon numero di scuole di istruzione primaria “comunali” tra il 1861 e il 1863, che sono anni anteriori al 1864. Chissà chi la ha “referato”. 5. La ricerca di Maurizio Lupo, relatore al convegno al quale ha assistito il professor Sessa,”Tra le provvide cure di Sua Maestà”, Il Mulino, 2005, nella parte che riguarda il tessuto scolastico primario non considera le scuole ecclesiastiche. Non oso paragonarmi neppur lontanamente a uno studioso del valore e dell’esperienza di Lupo, mi consola che abbiamo in comune qualche tratto di “ascientificità”.
Personalmente definisco faziosità senza aggettivi quella di molti meridionali che, in crisi di identità, si aggrappano agli splendori di un mitico regno borbonico.
Mi scuso per l’errore di battitura. Alla riga 13 deve leggersi ovviamente
Chissà chi lo ha “referato.
Da scienziato, non posso che definire ascientifico un uso parziale dei dati.
Scientificità è dati, ma usandoli tutti. La storiografia ha finora considerato solo gli istituti pubblici. Il quadro cambia radicalmente con gli elementi che ho fornito, tutti basati su dati finora per l’autore mai tirati fuori. Ma c’è chi si prende la briga di proseguire corifeamente la linea storiografica.
L’esempio palermitano riprendeva uno dell’autore, esattamente per dire che con quegli elementi aggiuntivi quello stesso episodio deponeva con decisione nella direzione opposta, così come gli altri esempi catanesi poi citati.
Del pari, confermo l’iperbole sul “tutte chiuse”, usata per significare l’elemento chiave. Il numero di istituzioni formative ecclesiastiche superstiti era, appunto, un residuo. Spero non si voglia negare che la stragrande maggioranza delle istituzioni ecclesiastiche sociali, formative, assistenziali, sanitarie furono chiuse e i loro edifici messi all’incanto, avviando POI qualche attività per la loro sostituzione.
Ancor oggi incompleta (personalmente, il mio Liceo l’ho frequentato fra le umide pareti di un garage di un capoluogo di provincia meridionale).
Il tempo che ho dedicato a scrivere questi commenti era per andare nella direzione di scientificità che l’autore si proponeva nel suo incipit: “Una delle maggiori e pericolose falsità che vengono diffuse da neo-sudisti «ai friarielli» sulla storia dell’Italia post-unitaria è che subito dopo il 1860 «per trasformare gli abitanti del regno borbonico in analfabeti e servirsene come manodopera a basso costo nelle fabbriche del Nord» le scuole nelle regioni meridionali vennero chiuse per dieci anni, ma qualcuno, più generoso (ma sì, abbondiamo! come diceva Totò), si spinge fino ad affermare che la chiusura durò addirittura per quindici anni. E poiché anche a questa panzana, purtroppo, molti credono, proviamo a fare chiarezza.”
Da scienziato o semplicemente da persona dotata di logica di ragionamento, risulta però risposta zoppa parlare (SOLO) “del ruolo e dell’impegno delle istituzioni pubbliche nell’opera di alfabetizzazione popolare, dunque” senza “alcuna ragione di inserire nella” “ricerca le scuole ecclesiastiche.” Credo di averlo illustrato a sufficienza.
Non so perché le repliche continuino a parlare, quello sì con allusione denigratoria che certamente il moderatore si premurerà di censurare, di neoborbonici e di mitico regno borbonico.
Il dedicare un punto alla sintassi, in un commento dove l’oggetto era desumibile dal contesto, rivela a cosa ci appelliamo, con la stessa attenzione di un Luca/Lucio. Continuo a trovarci spunti di ilarità.
Ciascuno ha i suoi gusti. Personalmente mi desta molta ilarità la definizione di “faziosità juventina” che mi pare abbia poco di scientifico e molto di vittimismo, male del quale certamente il mio interlocutore non soffre. Mi scuso per aver scritto “Lucio” invece di “Luca”, ma continuo a ritenere le iperboli poco scientifiche. E questa discussione per me si chiude qui.
Vedo che il docente universitario di seconda fascia (su quale cattedra e presso quale università spero voglia comunicarcelo, e magari fornirci il titolo di qualcuna delle sue scientifiche opere, visto che in questo sito siamo abituati a valutare ciò che abbiamo letto e non i titoli o le copertine) vuole a tutti i costi continuare la polemica. Per la verità avrebbe dovuto iniziarla non con me, ma con la bravissima Anna Gargano dal cui studio espressamente citato ho tratto il dato sulle scuole primarie nei domini peninsulari di Ferdinando II e che avendo considerato soltanto le scuole “statali” secondo lui ha fatto un lavoro “ascientifico”. Stessa scelta, gli ho ricordato, fece Maurizio Lupo nella sua ricerca, e credo che accusare Lupo di “ascientificità” sia impresa tutt’altro che agevole.
Come ho cercato di spiegare, io ho studiato il ruolo e l’impegno di una istituzione pubblica, il Comune di Palermo, nell’opera di alfabetizzazione popolare, e dunque le scuole rette da ordini religiosi non c’entravano nulla con l’oggetto della mia ricerca. Ma non oso immaginare che le mie povere spiegazioni possano soddisfare uno scienziato come il professore universitario Luca Sessa con le sue pirotecniche iperboli. Rilevo che comunque, dopo tanto sfoggio di erudizione, il professore Sessa non ci ha detto la cosa più semplice. Le scuole pubbliche a Palermo nel 1860 erano nove con 1815 alunni su oltre 190.000 abitanti, il che condannava gran parte della popolazione all’analfabetismo per colpa delle paterne cure di Sua Maestà Ferdinando: vuole informarci su quante fossero quelle ecclesiastiche che mirabilmente trasformavano il risultato e da quanti alunni fossero frequentate, indicando per favore i necessari riferimenti archivistici come faccio io per ogni dato nel mio lavoro “ascientifico”? Tutto il resto, dalla desk rejection al paper “referato”, potrebbe altrimenti sembrare solo fuffa.
mi fa piacere, ma pure ne traggo un certo disappunto da percepita faziosità oltreché pochezza di orizzonti, che condividiamo gli stessi riferimenti, i primi due relatori del convegno ai cui atti mi riferisco, il 4 in http://www.forumscuolestorichenapoletane.it/gli-eventi
sugli atti, ogni promessa è debito, ho fatto la foto ma non consente allegarla
Angelo Bianchi (a cura di)
L’istruzione in Italia tra Sette e Ottocento
Ed. La scuola
2012
ricchi dei dati cui mi riferisco per l’intero ex-Regno di Napoli, più scarni per la Sua specializzazione geografica siciliana, che quindi – alla luce delle evidenze portate per il resto delle Due Sicilie – potrebbero (per uno scienziato, dovrebbero) motivarLa a valutare una ricerca sulla situazione pre-unitaria in Sicilia, potrebbe uscirne una pubblicazione interessante (è certamente di interesse valutare quante chiusure e quante aperture, e quanti anni di vacatio, ci sono state anche in Sicilia a cavallo dell’Unità, incoraggio qualsiasi studioso a questo bel cimento che completerebbe il PRIN illuminatore, tutto svolto su dati archivistici di prima mano e non derivati)
sul resto, conta la scientificità del metodo (tutti i dati, tutte le prospettive possibili, etc) e non i titoli.
purtuttavia, non è colpa mia – e la dice lunga – se non si è adusi alla consultazione della base dati ministeriale Anvur, o ai vari siti di ricerca accademica (per comodità, ne suggerisco alcuni: Research Gate, Google Scholar, Academia…)
saluti e auguri
Potrei rispondere allo scienziato Luca Sessa che se su di me incombe il sospetto di “faziosità juventina”, sulle sue posizioni potrebbe sorgere il sospetto di “faziosità napoletana”, ma ho troppo amore e rispetto per Napoli per coinvolgerla in una discussione di questo livello. Circa la mia pretesa “pochezza di orizzonti”, ammetto che sulla sua opinione potrei ripetere una celebre battuta di “Via col vento” visto che godo della fiducia di alcuni specialisti in materia.
Quanto agli atti del convegno, ovviamente li conoscevo già, sia pure con il titolo e senza PRIN,e sulla Sicilia pre-unitaria dovrebbe essere noto a chi era presente a Pontignano in qualunque veste che ha già svolto una eccellente ricerca Caterina Sindoni, altra relatrice a quel convegno, lavoro citato nel mio libro “ascientifico”.
Per quanto riguarda il criterio di scientificità predicato dal docente universitario Luca Sessa, “si parva licet”, mi ricorda i suggerimenti di Gennaro De Crescenzo ad Alessandro Barbero sulla consultazione dei fondi archivistici. Comunque, voglio rassicurarlo: per quanto riguarda la Palermo preunitaria, quella ricerca ce l’ho in corso da oltre due anni e io lavoro prevalentemente appunto su fondi archivistici di prima mano. Potrei perciò fornirgli io i dati relativi alle scuole ecclesiastiche e ai loro alunni, che lo avevo invitato a produrre, ma non vorrei se ne adontasse.
Peccato infine che Luca Sessa non voglia svelarci nulla di sè, visto che non sono “aduso” non essendo docente universitario di seconda fascia. Sarà timidezza? Ah, saperlo, per citare un saggio napoletano. Potrei ricorrere alla consulenza di docenti universitari di prima fascia, ma non voglio violare la sua “privacy”.
Ricambio i saluti e gli auguri, spero definitivamente.
Senta, professor Sessa, lei non rompe nessuno schema precostituito che al più esiste solo nella sua fantasia. Anch’io la trovo molto schierato ideologicamente ( si è accorto di aver parlato di “cura sabauda”? è una spia linguistica inequivocabile) e anche “distratto” tanto da affermare che io avrei negato l’esistenza di testi poi scoperti grazie al suo prezioso intervento. Mi spiace che lei non abbia ancora superato il trauma della frequenza scomoda nel suo liceo ma forse la colpa della scomodità era degli amministratori della sua provincia più che dei sabaudi (per i quali non ho alcuna simpatia, sono di famiglia di tradizioni mazziniane). Le auguro che ci sia qualcuno che tragga profitto dal suo referaggio, che possa trarne io è una sua convinzione leggermente arrogantuccia.
In confidenza, se si fosse presentato in qualunque altro sito con il linguaggio e gli atteggiamenti che ha mostrato qui, l’avrebbero cancellata immediatamente. E davvero adesso basta, le lezioni le faccia ai suoi studenti che sono costretti ad ascoltarla, io non sono disposto a perdere altro tempo con lei.