Le patriote del 48
In molti paesi d’Europa, quando verso la metà del XIX secolo furono concesse le prime costituzioni, i liberali pretesero la costituzione di corpi della Guardia Civica a difesa delle nuove istituzioni. Poiché spesso i nuovi statuti riconoscevano diritti molto più ampi alle donne, queste, un po’ dovunque, chiesero di essere coinvolte nella difesa delle libertà e dei diritti conquistati.
Nel 1848 numerose furono anche le patriote che chiesero di potersi arruolare nelle Guardie Civiche costituite nelle città in rivolta contro i regimi assolutisti. Le prime a mobilitarsi furono le donne di Venezia. Il 17 marzo 1848 la città insorse contro gli austriaci e ed un comitato femminile composto da Elisabetta Michiel, Antonietta dal Cerè, Teresa Mosconi e Maria Graziani formulò una formale istanza di costituire un battaglione femminile, affiggendo già anche i manifesti con il bando d’arruolamento. La richiesta venne accolta tiepidamente e ridimensionata nella costituzione di una Pia Associazione per supporto ai militari, di fatto un corpo di infermiere militari. Se le novelle amministrazioni repubblicane erano reticenti rispetto all’idea di costituire reparti combattenti femminili, non potevano opporsi alla determinazione delle singole patriote, soprattutto quando queste erano sostenute dai loro stessi commilitoni. Giulia Calame Modena, ad esempio, riuscì a seguire il marito arruolata come soldato di fanteria della rinata Repubblica di Venezia. Fu ferita ad una spalla ed in seguito fu incaricata di dirigere l’infermeria militare di Palmanova. L’anno seguente avrebbe svolto la stessa funzione durante l’epopea della Repubblica Romana. Contemporaneamente insorse Milano e fermenti si manifestarono anche a Napoli. Anche in queste due città vennero inoltrate delle istanze per la costituzione di corpi militari femminili, che, però, vennero cortesemente ma decisamente respinte. Diversa fu l’evoluzione delle stesse aspettative a Roma. Nell’aprile 1849, dopo la sconfitta piemontese di Novara, Roma insorse e Giuseppe Mazzini, Carlo Armellini ed Aurelio Saffi furono posti a capo della Repubblica Romana, primo nucleo di quello che avrebbe potuto di ventare una Repubblica Italiana.
Venne promulgata la prima costituzione democratica d’Italia, la stessa che ha ispirato la redazione della nostra attuale costituzione repubblicana. All’articolo 12 essa stabiliva che tutti i cittadini appartengono alla guardia nazionale nei modi e colle eccezioni fissate dalla legge. La norma era ambigua ma venne da taluno interpretata in maniera estensiva per cui si iniziò a fornire addestramento formale con le armi anche alle donne, che poi sarebbero state impiegate come vivandiere. Era già prevista la costituzione di reparti di donne incaricate della confezione di cartucce ma molte vennero inquadrate nei reparti combattenti, non solo e non sempre come vivandiere. Una vicenda particolare fu quella di Colomba Antonietti Porzi. Nativa di Bastia Umbra, partecipò assieme al marito, ufficiale dell’esercito pontificio, alla prima guerra d’indipendenza. La coppia si trovò inquadrata nel corpo di spedizione pontificio che, al comando del generale Durando, disertò per affiancarsi alle truppe piemontesi confluendo nella Legione Lombarda, formata da volontari. Colomba e suo marito furono presi in forza dal battaglione dei bersaglieri lombardi, comandato da Luciano Manara, divenuto, in seguito, il 6° battaglione bersaglieri dell’esercito piemontese, lo stesso in cui prestava servizio Goffredo Mameli.
Dopo la sconfitta di Novara e l’armistizio di Salasco, il battaglione fu autorizzato a raggiungere Roma per unirsi ai reparti che difendevano la Repubblica Romana. Nel 1849, il bersagliere Colomba Antonietti Porzi, che indossava le uniformi del marito, private dei gradi, rimase uccisa nel corso dei combattimenti per la difesa, contro i francesi, di Porta San Pancrazio. Assieme a lei rimase uccisa anche Marta della Vedova, volontaria di Faenza Assieme a lei rimase uccisa anche Marta della Vedova, volontaria di Faenza. Tra i difensori di Porta San Pancrazio c’era anche RosaStrozzi. Suo marito, il capitano Vincenzo Santini, fu tra i caduti di quel fatto d’arme ma ella rimase tra le file garibaldine, prendendo parte alla spedizione del Mille, venendo anche decorata al valore. Fu tra i volontari garibaldini anche in Trentino, nel 1866, ed a Mentana, nel 1867.
Tra le vivandiere della Legione Italiana, comandata da Giuseppe Garibaldi, viene ricordata anche Baldovina Vestri, nativa di Siena, mentre trascinava al sicuro i feriti sotto il fuoco del nemico e si esponeva pericolosamente per far rifornimento d’acqua. Altre cadute durante la tenace quanto sfortunata resistenza furono Orsola Cesari, originaria di Foligno, vivandiera della Legione Emigranti, Anastasia Nobili Nassi, di Amatrice, Teresa Valenzi Sorbati, di Roma, e Marta Della Vedova, di Roma.
Nello stesso periodo Luigia Poli fu tra i soldati caduti durante il tentativo di difendere Bologna dagli austriaci, sopraggiunti per dar man forte ai francesi nel soffocare la novella repubblica. Di diritto tra di loro va annoverata anche Anita Garibaldi, deceduta non per fatti d’armi, ma per aborto ritenuto e settico, verosimilmente da stress. Considerato che il numero dei caduti repubblicani italiani durante la difesa di Roma fu di 938 unità, la percentuale di donne risulta di essere di almeno una ogni duecento uomini. In pratica, erano una per compagnia ed è la percentuale che si registrò spesso anche nelle imprese garibaldine. Le vivandiere delle formazioni di patrioti repubblicani erano, quindi, dieci volte più numerose di quelle dell’esercito piemontese contemporaneo.