Economia

I telai di Camilleri

È pratica diffusa nelle varie articolazioni del mondo “neosuddista” l’estrazione da testi di personaggi noti di frasi a effetto per sostenere la propria tesi di un Sud-Italia aggredito e impoverito dai “predoni” del nord. E talvolta c’è chi, senza volerlo, dà loro una mano. Andrea Camilleri, peraltro convinto sostenitore della necessità dell’unità d’Italia, – in un’intervista del maggio 2012 definì Giuseppe Garibaldi «una sorta di Che Guevara, che però non commette il suo errore, cioè andare dove non c’è un terreno fertile» -, in un articolo apparso sul quotidiano «L’Unità» del 5 luglio 2010 sostenne che dopo il 1860 «i telai, ottomila ce n’erano in Sicilia e chiudono nel giro di due anni, perché si preferiscono i telai biellesi»; e aggiunge che «va a picco il grafico della natalità» per l’introduzione del servizio militare obbligatorio, che non ci sarebbe stato sotto il governo borbonico.

Il fatto è che Camilleri si sbagliava. Nella Sicilia preunitaria c’erano di certo migliaia di “telai”, anche più di ottomila, ma non c’era l’industria tessile, come lui sembra credere: quei telai erano azionati da migliaia di donne che in casa, oltre alle usuali incombenze, si dedicavano alla filatura o alla tessitura per sopperire ai bisogni domestici come la Silvia leopardiana: si pensi, per fare un solo esempio, che a Bisacquino, un centro di poco più di ottomila abitanti nel palermitano, risultavano attive in quegli anni seicento fabbriche tessili, ciascuna delle quali consisteva in un telaio manovrato da una donna. Ancora negli anni Novanta dell’Ottocento peraltro, secondo un’indagine statistica condotta dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio nelle province dell’isola (i fascicoli relativi alle statistiche industriali delle singole province sono reperibili nel sito dell’Istat), l’industria tessile casalinga non solo non era scomparsa ma contava circa ventimila telai; e i tessuti migliori continuavano ad essere importati soprattutto dalla Gran Bretagna, com’era accaduto per tutto il secolo.

Quanto al crollo della natalità, a smentire lo scrittore sono i dati elaborati da Francesco Maggiore Perni, il migliore esperto di statistica della Sicilia postunitaria: secondo i suoi dati (La popolazione della Sicilia e di Palermo nel secolo XIX, Virzì, Palermo 1897, p. 642) dal 1861 al 1871 la popolazione siciliana ebbe il seguente sviluppo: 1861, 2.392.418; 1862, 2.425.839; 1863, 2.455.924; 1864, 2.486.250; 1865, 2,512.514; 1866, 2.541.151; 1867, 2.496.570 (l’isola era stata colpita da un’epidemia di colera tra la fine del 1866 e i primi del 1867); 1868, 2.494.232; 1869, 2.515,124; 1870, 2.535.333. Come si vede, la popolazione isolana crebbe in quegli anni costantemente – fatta eccezione per il drammatico biennio del colera – così come la popolazione delle altre regioni italiane.

Camilleri rimane un grande scrittore contemporaneo e i suoi quadri della società siciliana anche ottocentesca sono per noi preziosi: ma farne una fonte storica, come qualche sprovveduto ha fatto e continua a fare, è francamente sconsigliabile.

P.S. Se la professoressa Aurora Del Monaco dovesse leggere queste righe, le mando un cordialissimo saluto. Non ci conosciamo personalmente ma ricordo il suo prezioso lavoro come responsabile della sezione didattica dell’Istituto campano per lo studio della Resistenza per restituirci “le radici del nostro presente”.

2 pensieri riguardo “I telai di Camilleri

  • Aurora Delmonaco

    Ho letto e ringrazio moltissimo Augusto Marinelli del ricordo, furono anni bellissimi, di grande impegno con tanti docenti-ricercatori con cui giunsi alla creazione, a Napoli, della prima aula in Italia di laboratorio storico-didattico . Non avrei mai immaginato che dal Sud potesse partire una simile ondata di anti-storia.

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