Differenziare o non differenziare?
Ricordate Gravoche, il monello protagonista del romanzo «I miserabili» di Victor Hugo? Cantava, sbeffeggiando i soldati che gli sparavano addosso: «Je suis tombé par terre, c’est la faute à Voltaire, Le nez dans le ruisseau, c’est la faute à Rousseau». Per i borbonici d’oggi, e loro dintorni, non ci sono invece dubbi: perfino se oggi le città dell’Italia del sud sono ingombre di rifiuti, «c’est la faute à Garibaldi».
Infatti, spiegano con profondo sussiego, sotto Ferdinando II di Borbone Napoli era addirittura una delle città più pulite d’Europa e, aggiungono i loro fratellini siciliani per non essere da meno, anche Palermo era una città pulita. La prova? Un decreto emanato da Ferdinando e firmato dal prefetto di polizia napoletano Piscopo il 5 maggio 1832, che comminava pesanti sanzioni a chi insudiciasse la città o non si adoperasse per tenerla pulita. Addirittura, ripetono esaltati da tanto ricordo, quel decreto prevedeva già la raccolta differenziata dei rifiuti, pratica che il mondo contemporaneo, ignaro delle virtù della dinastia borbonica, ha solo in tempi recenti riscoperto. Si tratta dunque di un altro primato da rivendicare orgogliosamente a nome di Ferdinando II.
Questa volta non siamo di fronte ad una pura invenzione perché il documento in questione esiste davvero, anche se non è un regio decreto (d’altronde, non si può pretendere che certi storici del sabato sera abbiano dimestichezza con le diverse categorie di provvedimenti normativi) ma più modestamente un «Regolamento per lo spazzamento ed innaffiamento delle strade» emanato il 3 maggio (ma il 5 maggio faceva tanto Manzoni, vuoi mettere?) 1832 dal prefetto di polizia «interino» Gennaro Piscopo che dettava appunto regole di carattere igienico-sanitario per la pulizia della capitale del regno (Lo si legge in R. Mozzillo, Manuale di polizia, volume terzo, Napoli, Mosca 1856, pp. 186-188). Nulla di più e nulla di meno dunque di uno dei tanti regolamenti per l’igiene urbana che da secoli (a Napoli almeno da fine Quattrocento) venivano emanati nelle città del mondo e che proprio per la necessità di essere reiterati con la minaccia di gravi punizioni per i trasgressori testimoniano come quella battaglia fosse ben lungi dall’essere vinta. Non per nulla le stesse norme emanate da Piscopo si ritrovano quasi alla lettera nel Regolamento della polizia urbana della città di Napoli del 1868, emanato cioè sotto l’odiato governo «piemontese» che doveva affrontare gli stessi problemi, evidentemente irrisolti, della caduta dinastia.
Quanto alla pretesa «raccolta differenziata» tanto maldestramente sbandierata si tratta soltanto della disposizione che prescriveva «l’avvertenza di ammonticchiarsi le immondizie al lato delle rispettive abitazioni, e di separarne tutt’i frantumi di cristallo, o di vetro che si troveranno, riponendoli in un cumulo a parte», precauzione che derivava dalla necessità di limitare al massimo i rischi che, camminando per le strade, una popolazione in gran parte priva di scarpe potesse riportare delle ferite.
Per valutare l’efficacia di questa ennesima edizione delle norme sulla pulizia cittadina, è sufficiente leggere una delle numerose testimonianze posteriori, redatte da studiosi napoletani in nessun modo sospettabili di aver voluto fare propaganda antigovernativa (il che, sotto il controllo della regia censura, sarebbe stato peraltro impossibile). Si legga ad esempio cosa scriveva anni dopo la pubblicazione del «Regolamento» in oggetto Salvatore de Renzi, figura di primo piano nella sanità napoletana: «La polizia delle strade in generale era per lo passato assai poco curata, e anche attualmente i vicoli sono trascurati, ed in essi la gente del popolo gitta tutte le acque che son servite per uso domestico, ed anche vi s’incontrano talora altri oggetti schifosi puzzolenti, e perniciosi per le esalazioni che emanano. Le strade principali godono però competente nettezza, e sono spazzate ogni giorno» (S. de Renzi, Topografia e statistica medica della città di Napoli, Napoli, Dai torchi del Filiatre Sebezio 1845, pp. 267-268).
Dunque non solo non c’è alcun «primato» da rivendicare ma ad essere «pulita» non era la «città di Napoli» ma quelle sue vie che servivano da vetrina per i viaggiatori e dove vivevano le classi superiori. Nei «fondachi» si viveva invece tra sporcizia e umidità.
Quanto a Palermo, affermare che la città fosse pulita in età borbonica è possibile solo per chi ignora del tutto quali ne fossero le reali condizioni igienico-sanitarie, e racconta storie tentando di spacciarle per «storia».
Augusto Marinelli
AGGIORNAMENTO: Precisiamo che il riciclaggio dei rottami di vetro tramite rifusione era già in uso almeno dall’età romana e non può costituire un primato del XIX secolo. Se ne trova testimonianza, ad esempio, in Marziale, Epigrammi, libro I, XLI: Ti senti sciccosissimo, Cecilio… ma quando mai? Lo sai che sei? Un oriundo, un caciocavallaro del Pontino, che baratta capocchie di cerini e cocci di bottiglia, che rifila ceci in ammollo – a chi se li piglia …
L’interpretazione che se ne dà nell’articolo è che, trattandone un regolamento di polizia, il suo obiettivo fosse la salvaguardia dell’incolumità pubblica.