Cassate per i Mille
I “veri storici” borboniani aprono continuamente nuovi orizzonti, nuove prospettive di ricerca, svelano crimini occultati per secoli e secoli. Chi aveva mai saputo, ad esempio, del saccheggio di Palermo da parte dei garibaldini subito dopo l’occupazione della città nel giugno 1860? A svelare il misfatto è però intervenuto sul sito “parlamentoduesicilie.eu” un signor Vincenzo Gulì, “coordinatore” di quel parlamento, comunicando che tale Giuseppe Scianò, intrepido ricercatore, avrebbe trovato la prova che il 9 giugno 1860 «il criminale Garibaldi» aveva accordato «ai barbari alle sue dipendenze il permesso di saccheggiare la città non più protetta dalle autorità regie». E il signor Gulì si duole delle sofferenze inflitte alla popolazione per ben tre giorni da «sciacalli venuti dal nord» e in particolare per le «scene strazianti» alle quali avrà di certo assistito il suo bisnonno omonimo, collaboratore di quel Salvatore Gulì, al quale va il merito storico di aver inventato la cassata.
L’accusa è talmente assurda che non vi presterebbe fede un bambino di prima elementare. Ovviamente sulla pretesa «prova» la storica assemblea mantiene un assoluto silenzio, né se ne trova cenno in autori come il fantasioso Giuseppe Buttà, che pure di quelle vicende fornì una sua versione come testimone oculare, in Giacinto De Sivo, che commuoveva il buon Carlo Alianello, e nemmeno in Giacomo Margotti, fonte principale della signora Pellicciari. Non ne fanno parola neppure le fonti relative a quegli avvenimenti pubblicate per ordine della corte di Francesco II, a cominciare dalla «Cronaca degli avvenimenti di Sicilia da aprile 1860 a marzo 1861 estratta da documenti» per finire con una raccolta fondamentale come «1860. Documenti riguardanti la Sicilia».
L’unica «prova» delle pretese nefandezze garibaldine potrebbe essere dunque quanto scrive sir Rodney Mundy, l’ammiraglio inglese comandante dell’Hannibal cioè della nave sulla quale si svolsero le trattative per l’armistizio tra Lanza e Garibaldi, nel suo diario. Mundy riferisce, narrando degli eventi di quei giorni (H.M.S. Hannibal at Palermo and Naples during the Italian Revolution, 1859-1861, London, John Murray 1863, pp. 174-175):
«The officers and men of the Royal army were evidently equally glad as the leader and the insurgent people that hostilities had cessed. They knew to what quarter they were indebted for the benefit of the armistice, and to this feeling I attributed the deference that was paid to me.
Betweeen two and three thousand men had been killed and wounded during the four day’s struggle, and as many more were lying sick at the hospital from exposure and want of nourishment. Pillage had been allowed where property was native, but houses and premises of foreigners were generally respected».
Traduco: «Gli ufficiali e le truppe dell’armata regia erano evidentemente contenti tanto quanto il capo e il popolo degli insorti della cessazione delle ostilità. Essi sapevano a quale parte erano debitori per il beneficio dell’armistizio, e a questo sentimento io attribuivo la deferenza che mi tributavano.
Tra i due e i tremila uomini erano stati uccisi o feriti durante i quattro giorni di combattimenti, e molti di più giacevano malati in ospedale per la mancanza di cibo. Il saccheggio era stato consentito dove la proprietà era indigena, ma le case e gli stabilimenti commerciali degli stranieri erano in genere stati rispettati».
Purtroppo per gli intrepidi “veri storici” chiunque legga mediamente l’inglese capisce che Mundy stava qui riferendo di comportamenti «dell’armata regia», delle truppe «borboniche» alle quali era stato permesso di saccheggiare le proprietà dei siciliani: il che spiega abbondantemente perché i propagandisti di Francesco II tacciano l’accaduto. Una conferma dei saccheggi compiuti dalle regie truppe si legge inoltre nelle corrispondenze dell’inviato del «Times» sotto la data del 31 maggio e nel «Diario» coevo del palermitano Antonio Beninati1.
Dovrebbe peraltro essere noto a chiunque abbia una conoscenza appena accettabile della storia siciliana che nel 1860 le truppe borboniche avevano goduto della libertà di saccheggio. Ne riferiva al suo governo, ad esempio, il vice-console francese a Messina, Hugues Boulard, in un lungo rapporto del 27 maggio precisando che il comportamento delle truppe era simile a quello tenuto nel 1849 in Messina: «Incendiare le case del resto, oggi come allora, serve da pretesto e da scusa per il saccheggio, ricompensa sempre promessa ai soldati»2. Che le truppe regie avessero saccheggiato durante la battaglia di Palermo «molte case nelle vie Ballarò, Casa Professa e seguenti» era stato peraltro testimoniato anche da un ufficiale borbonico di insospettabile fede legittimista, il capitano Tommaso Cava3.
Eppure – forse perché si considerano i lettori dei creduloni ai quali si può ammannire qualunque frottola – il senso del testo è stato disinvoltamente capovolto, le truppe borboniche responsabili di aver causato «scene strazianti» sono state promosse al rango di «invitta armata», si è perfino precisata la durata del misfatto indicandola in tre giorni e i saccheggiatori sono così diventati di colpo i garibaldini. I quali, magari, le cassate del signor Gulì le avevano pure mangiate ma, da quel che se ne può sapere, pagandole regolarmente e mostrando di apprezzarle tanto da spingere proprio il signor Gulì a partecipare l’anno successivo alla Esposizione Nazionale in Firenze ottenendo una particolare menzione «per il copioso assortimento delle sue varie confetture, fini e di qualità comune, ma in ispecie per un mazzo di fiori in pasta di zucchero di squisito lavoro, e per i suoi canditi di zucca» (Esposizione Italiana tenuta in Firenze nel 1861. Relazioni dei giurati. Vol. II, Firenze, Barbera 1865, p.167).
1 Garibaldi a Palermo ossia Il più bel tratto della rivoluzione siciliana narrata da un testimone oculare e Diario di Antonio Beninati in Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860, Palermo, Marraffa Abate 1910, rispettivamente p. 335 e 391.
2 Il documento è trascritto in F. Brancato, L’insurrezione siciliana del 1860 nei dispacci dei consoli di Francia, «Archivio storico siciliano», serie III, vol. XII (1961), Palermo, Società Siciliana di Storia Patria, 1962, pp. 226-227.
3 Difesa nazionale napoletana di Tommaso Cava, Capitano dello Stato Maggiore dell’esercito delle Due Sicilie, Napoli 1863, p. 87.
Interessante, purtroppo questo Scianò è un killer della disinformazione.
Gentile Sig. Tripodi
ho scoperto da poco questo sito e, leggendo il suo articolo, mi congratulo con la vs attenta ricerca. Sono un appassionato di storia del Risorgimento, non ho titoli accademici ma tanta passione. Purtroppo negli ultimi anni ho scoperto quanta revisione si stia attuando, da parte di alcuni “giornalai” come l’avrebbero classificati qualcuno, una continua pubblicazione che hanno lo scopo di vendere copie coll’intento di vendere verità storiche negate. Dal momento che la mia è una ricerca senza il fine di pubblicare vi chiedo se avete indicazioni di libri, siti, archivi, che indichi soprattutto garibaldini del 1860 poichè da come indica lo stesso storico Molfese in “Storia del Brigantaggio dopo l’Unità” risultavano circa 50.000 garibaldini mentre nell’Archivio di Stato di Torino ci sono i nominativi di 35.000 e, credo, che a mancare siano soprattutto i garibaldini siciliani del maggio-luglio 1860 che, per vari motivi, non si riuscì all’epoca a registrare nei ruoli matricoli. Qualsiasi informazione sarà ben accetta, grazie ed un cordiale buon proseguimento di ricerca.