Carlo Alianello e i fucilati inesistenti
Carlo Alianello rimane ancora oggi il pontefice massimo del neoborbonismo, il vero creatore delle più incredibili fandonie sul mitico regno delle Due Sicilie propalate a piene mani da nipotini zelanti. Fu Alianello a coniare la similitudine tra l’esercito del regno d’Italia e le rappresaglie naziste, a lodare la mitezza del carcere inflitto ai detenuti politici dal magnanimo Ferdinando II, a regalare alla signorina Penelope Smyth, probabile «avventuriera», lo zio Palmerston, a incontrare i fantasmi dei soldati dell’esercito borbonico al chiaro di luna, a magnificare l’evangelica misericordia del buon re Ferdinando. Una prova di quest’ultima virtù del sovrano cristianissimo? La sua ripugnanza per la condanna capitale anche per i reprobi più reprobi: garantisce infatti Alianello che «l’esecuzione di Agesilao Milano fu l’unica che avvenne sotto Ferdinando II, dal 1848, giacché tutte le altre condanne a morte furono commutate col carcere»1. Invece, sottolinea pensosamente il pio romanziere, nei regni sotto dinastie influenzate dal pensiero illuministico-giudaico-massonico-protestante la pena di morte veniva applicata, e come. Non accadeva per motivi politici, è vero, ma la nostra cultura (magari proprio perché è illuministica, liberale …) condanna assolutamente la pena di morte anche in presenza di gravissimi reati.
Il buon Alianello, per la verità, come gli accade spesso tende a dimenticare alcuni «episodi» che smentiscono le sue affermazioni. Prima dell’esecuzione di Agesilao Milano, infatti, il 14 febbraio 1850 era stato decapitato a Salerno Luigi De Mattia, riconosciuto colpevole dell’uccisione del Capo-urbano Maresca nel pieno della rivoluzione del 1848. Un solo, singolo caso qui ricordato solo per malevolenza nei confronti di Alianello e del suo eroe preferito?
Spostiamoci in Sicilia, l’isola che il «palermitano» Ferdinando amava pochissimo per la sua indocilità nei confronti delle regali pretese assolutistiche tanto da scrivere il 27 novembre 1837 nelle istruzioni al duca di Laurenzana, inviato a Palermo quale luogotenente generale: «La prima cosa a cui bisogna abituare la Sicilia si è di ubbidire».2
La rivoluzione del 1848, stroncata a mano armata dalle truppe borboniche, dimostrò poi che le intenzioni del sovrano non si erano tradotte in realtà. Ancora il 27 gennaio 1850 un gruppetto di giovani, guidato dal ventenne Nicolò Garzilli, avrebbe tentato di dar vita a una nuova sollevazione. Fallito il tentativo, il gruppo si disperde. Nel corso della serata vengono arrestati Nicolò Garzilli, Rosario Ajello, Giuseppe Caldara, Paolo De Luca, Giuseppe Garofalo, Vincenzo Mondini. Sono sospettati di aver preso parte al tentativo insurrezionale. La mattina seguente vengono processati dal Consiglio di Guerra malgrado non siano stati arrestati in flagranza di reato o con le armi alla mano come previsto da un decreto del luogotenente generale principe di Satriano, nel pomeriggio fucilati. Ad Alianello il fatto sfugge.
Le cospirazioni nell’isola non si fermano. Nel 1856 un giovane aristocratico, Francesco Bentivegna, organizza un nuovo tentativo. Arrestato, viene fucilato il 20 dicembre. Il 14 marzo 1857 stessa sorte tocca a Salvatore Spinuzza. Ma nemmeno di queste esecuzioni Alianello si accorge (e comunque erano siciliani, non appartenevano alla nazione napoletana della quale il prode scrittore si sentiva alfiere). E dunque basta un tratto di penna, e «dal 1848 nessuna condanna a morte venne eseguita sotto Ferdinando II». Tra l’altro, i fantasmi di quei fucilati Alianello non li ha mai incontrati, dunque non sono mai esistiti. E se non sono mai esistiti per lui, figuratevi per il circo neoborbonico che impazza sul web.
1 C. Alianello, La conquista del Sud. Il Risorgimento nell’Italia meridionale, Milano, Rusconi 1972, p. 30. Per gli altri riferimenti cfr. pp. 261, 26, 15, 263. Agesilao Milano era il soldato calabrese che aveva attentato alla vita di Ferdinando l’8 dicembre 1856. Fu impiccato il 13 seguente.
2 Cfr. L. Bianchini, Storia economico-civile della Sicilia (a cura di Francesco Brancato), Napoli, E.S.I. 1971, p. XXV.
Che poi tutto ciò, se pure fosse stato vero (e non lo è), conta poco, visto che Messina fu comunque sbriciolata a cannonate dalla flotta borbonica durante le operazioni di pacificazione della Sicilia: per carità, è stato fatto durante un’operazione di repressione e per quanto atroce, in guerra è normale che si compiano atti efferati contro città e abitati, specie quando si parla di sollevazioni, guerriglie e/o guerre civili (come Italia Unita ne abbiamo avute molteplici dimostrazioni, sia come vittime che come perpetratori). Ma non si cerchi di far passare i Borbone come sovrani caritatevoli, ché l’unica differenza tra loro e gli altri sovrani era la testardaggine nel continuare ad amministrare il regno secondo sistemi sociali ed economici terribilmente antiquati.
Senza contare che poi questa è gente che quando si fa notar loro che i briganti tra 1861 e 1870 bruciavano case e decapitavano persone, rispondono che facevano bene perché le vittime erano ricchi possidenti favorevoli ai Savoia.
Sono chiari esempi di regressio ad puerum spacciare la fantasia per verità fattuale… io avrei paura di certi personaggi che negli ultimi anni han trovato megafoni istituzionali nel quale avere voce…