Canzoni di guerra del ’48 a Messina
Il 25 gennaio 1848 lo Stato Maggiore borbonico, per ammonire la città che fino ad allora era rimasta tranquilla , volle dare alla cittadinanza una manifestazione della sua forza, schierando lungo la via Ferdinanda numerosi battaglioni di fanteria e gruppi di artiglieria da campagna. La provocazione suscito’ le ire del popolo . ammassato ai due lati della strada. Si levarono grida di imprecazione, insulti e maledizioni per cui il Generale Nunziante diede l’ordine alla formazione di ritirarsi nella Cittadella. Il popolo seguì la ritirata dei soldati, accompagnandoli con insulti e fischi sino alla porta di Terra-nova, poi tornò verso il centro, intonando una canzone borbonica cui, verso la fine del 1847, aveva cambiato le parole:
Bell’è uniti a ciurme, schiere
Fra il tumulto e l’allegria,
Tricolori le bandiere
Dispiegar per ogni via;
E gridar, noiati e stracchi
Di caserme e di bivacchi:
Via canaglia – via sbirraglia,
Se no, male finirà;
Ed allor dum-dà dum-dà
………………………….
La campana batterà
Siamo all’erta! E se c’invita
Il tiranno a fiera giostra,
In tal festa a noi gradita
Seguitiam l’usanza nostra:
Noi coraggio, egl’ha squadroni;
Noi pugnali, egl’ha cannoni:
Ma i coltelli – dei fratelli
Otterran la libertà!
Ed allor dum-dà dum-dà
La campana batterà!
Quale ulteriore sfida al nemico, con coraggio che sfidava la temerarietà, la sera dell’8 febbraio agli avamposti e in città veniva cantato l’inno di guerra di Messina, musicato dal maestro Antonio Laudamo con le parole di Vincenzo Amore:
Fida al patto: di tromba lo squillo
Diede ardita Messina primiera:
Dispiegò il tricolore vessillo,
Strinse l’armi, e il tiranno sfidò.
A quel suono, per l’isola intera
Ogni libero core balzò.
Volse il capo l’invitta Palermo,
La Sicilia guardando d’intorno:
Vide il popolo unanime e fermo;
E il gran dì del riscatto fissò.
Surse tosto tremendo quel giorno
Che il suo braccio di ferro s’alzò.
Sgherri barbari, vili e feroci
D’un feroce monarca, cedeste;
Né vi valse le torri, e gli atroci
Tradimenti, e il tentato terror:
Questo popolo non teme, il vedeste;
Questo popolo leone è di cor.
Spiccò il volo già l’Aquila altera,
Già l’infame catena fi rotta:
Fu squarciata la vostra bandiera:
Vi copriste d’eterno rossor.
Or Messina qui compie la lotta
Con estremo coraggio e valor.
V’intanaste all’usanza dei vili
Fra le rocche, i castelli e le mura;
Bombardaste dai vostri covili
Questi eroi che vi fanno tremar.
Ma fia vano: di sola paura
Voi cadrete al vederci avanzar.
V’è Maria sulla soglia dei Cieli,
Che saprà per Messina pugnar.
I soldati borbonici, irridendo Messinesi, rispondevano in coro dagli spalti dei loro forti con questa canzone:
La Cittadella bella, China de cannuneri,
Ve rumpe li banneri,
E a mare le fa annà:
Le fa annà!
Spara lu forte ‘ll’Andria,
Spara ‘na culumbrina;
Va ‘ncoppa a la marina,
E nun ce viene ‘cca:
Nun viene ‘cca!
Spara lu forte ‘ll’Andria,
Respune ‘u Sarvature;
Bannera a tre culure
Chiù un si vidirà:
Vun si vidirà!
La Cittadella bella
Messina fa pigliare,
E Proniu generale,
Che Diu lu pozza ajutà:
Lu pozza ajutà!
Di rimando i popolani messinesi rispondevano:
Cc’esti un corpu di rrialista
E l’avemu a ‘suttirrà;
Rialista, facetivi u fossu,
Chi v’avemu a s’ssuttirrà!
A ‘suttirrà !