Autore: Augusto Marinelli

Bufale

Il pizzo di Garibaldi

Avete mai visto le foto di Garibaldi con la coppola in testa e una doppietta caricata a lupara a tracolla? No? Le avranno secretate gli storici “di regime”, prezzolati da Nino Bixio e dalla massoneria internazionale per impedirvi di conoscere la “vera storia” della spedizione dei Mille. Per fortuna provvide un collaboratore di giustizia, tale Antonio Patti, a svelare questo clamoroso segreto: non solo il condottiero dei Mille ebbe rapporti di collaborazione con la mafia in Sicilia, ma prima di farlo “anche Garibaldi pagò il pizzo”1.

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Personaggi storici

Un eccidio nella Sicilia antiborbonica

Il 31 gennaio 1822 a Palermo venivano fucilati perché “carbonari” i sacerdoti Giuseppe La Villa e Bartolomeo Calabrò nel cortile della Real Casa di Correzione (l’ex Quinta Casa dei Gesuiti, attigua alla casa del duca di Montalbo), Pietro Minnelli, Giuseppe Candia, Natale Seidita, Antonino Pitaggio, Giuseppe Lo Verde, Salvatore Martines e Michele Teresi nel poco lontano largo della Consolazione. Molti di essi erano giovani o giovanissimi: ventisei anni il Seidita, ventiquattro il Pitaggio, addirittura ventuno il Lo Verde.

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Economia

Azioni e bovini

Già agli inizi degli anni Sessanta del secolo appena trascorso – ormai due generazioni fa – i notissimi studi di Domenico Demarco avevano restituito una visione più equilibrata della situazione economica del regno delle Due Sicilie rispetto a quella diffusa dalla pubblicistica “sabaudista” nel calore della lotta politica pre e soprattutto post-unitaria. I risultati di quella ricerca avevano avuto già allora larga diffusione anche attraverso la pubblicazione di testi in edizione economica rivolti a un pubblico assai vasto e addirittura di volumi dedicati alla formazione di militanti e quadri di partiti politici1. Le polemiche rivolte dalla libellistica neoborbonica contro la inesistente “storiografia ufficiale” a base di “non sapevamo” sono dunque prive di fondamento: se qualcuno non legge quanto viene pubblicandosi, non è certo colpa degli storici. Spesso però pare addirittura ottimistico supporre che gli autori delle fantasiose ricostruzioni che costituiscono la maggior parte di questa produzione non leggano e non abbiano letto nulla.

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Società

Piaghe dell’Istruzione Pubblica napoletana

Napoli, agosto 1860. Francesco II sta di malavoglia tentando di riverniciare di liberalismo il suo trono col nominare un nuovo governo e concedere una costituzione, provvedimenti che serviranno solo a innescare un conflitto politico e sociale che sfocerà poi nel “Grande brigantaggio” post-unitario. Nelle botteghe dei librai compare intanto un libello anonimo – come accadeva spesso in quegli anni per sfuggire alla vigilanza poliziesca, ma scritto da Francesco Del Giudice, uno studioso di problemi pedagogici – che descrive le condizioni del pubblico insegnamento nel reame: titolo, «Piaghe dell’Istruzione Pubblica napoletana».

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1860Bufale

Documenti borbonici e capriole neoborboniche

È nozione comune tra gli storici che nulla vi sia di più inedito di ciò che è stato già edito: essendo la quantità di fonti messe a stampa spesso di tale mole da finire per nascondere, anziché svelare, i documenti pubblicati, o almeno parte di essi.
Proprio la lettura di uno di questi documenti mette a tacere in modo incontrovertibile le insinuazioni diffuse centosessanta anni fa dalla pubblicistica legittimista e clericale, e riprese in tempi recenti dal chiacchiericcio neoborbonico, circa la pretesa corruzione dei comandanti delle truppe napoletane operanti nell’isola per favorire l’azione delle truppe in camicia rossa e delle squadre dei picciotti.

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1860Bufale

Quando le sciocchezze fanno ressa

Puntualmente, in occasione dell’anniversario della spedizione garibaldina in Sicilia, dalle diverse aree del mondo neoborbonico sgorga l’impetuoso ruscello delle fandonie, più o meno diffamatorie, che ne punteggiano la narrazione «controstorica». Ad esempio, ricorrendo la data del 30 maggio, ci viene svelato quale sorte Garibaldi avrebbe riservato ai fondi depositati nelle casse del palermitano Banco regio al di là del Faro.

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1860

Bronte, cronaca di un equivoco

Nei primi giorni dell’agosto 1860 il paese di Bronte, centro agricolo di poco meno di diecimila abitanti in provincia di Catania, fu sconvolto da una violentissima rivolta contadina, che divenne subito la più nota tra le jacqueries che attraversarono l’isola in quelle settimane. Non si trattò di un evento improvviso o isolato. L’origine della controversia che opponeva la comunità di Bronte ai possessori dei terreni demaniali risaliva addirittura a quattro secoli prima, quando lo «stato feudale di Bronte» apparteneva all’Ospedale Grande e Nuovo di Palermo. Il conflitto si era di molto inasprito dopo che Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia, poi Ferdinando I delle Due Sicilie, aveva concesso il 10 ottobre 1799 l’intero «stato», elevandolo in pari tempo a «ducea» , all’ammiraglio inglese Horatio Nelson per ricompensarlo dell’aiuto prestatogli nella riconquista del regno napoletano dal quale era fuggito nel dicembre 1798 sotto l’incalzare delle truppe francesi, nonchè nell’eliminazione della classe dirigente della Repubblica partenopea, in testa l’ammiraglio Domenico Caracciolo.

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