La morte di Cavour? Meglio in “fiction”
Il 6 giugno 1861, intorno alle sette del mattino, moriva Camillo Benso, conte di Cavour, presidente del consiglio dei ministri dell’appena nato Regno d’Italia. Quella morte quasi repentina – i primi sintomi della malattia si erano manifestati il 2 giugno – addolorò e sbigottì gli amici e i sostenitori. I nemici e gli invidiosi trassero un respiro di sollievo: Vittorio Emanuele II accolse la notizia con un senso di liberazione, i clericali individuarono subito la vera causa della morte nella punizione divina. La «Civiltà Cattolica» parlò senza mezzi termini di «vendetta celeste», di «castigo di Dio» e di «avviso ai suoi complici»1. Le circostanze colpirono la fantasia popolare e il complottismo, inveterata malattia del corpo sociale, si mise in moto. La leggenda più eccitante fu diffusa da una sorta di romanzo d’appendice, un pamphlet anonimo diffuso nel 1872 (Cavour avvelenato da Napoleone III. Documenti storici di un ingrato, Domenico Cena, Torino) che mescolava sapientemente tutti gli ingredienti cari a un pubblico avido di sensazionalismi e di misteri.
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