Antisemitismo e pogrom durante l’invasione borbonica del Lazio
In epoca moderna le comunità ebraiche dell’Italia meridionale, risalenti sino all’Antichità romana e molto numerose (nel regno di Napoli costituivano il 2,5% della popolazione, in quello di Sicilia il 5%), furono condannate all’esilio ed alla dispersione da una serie di decreti d’espulsione dei sovrani iberici: nel 1492-1493 fu ordinata la loro cacciata dalla Sicilia; il 23 novembre 1510 re Ferdinando il Cattolico emise una prammatica sanzione con la quale s’ordinava agli ebrei ed ai neofiti di lasciare il regno di Napoli entro quattro mesi; ad alcune famiglie a cui era stato concesso eccezionalmente di restare fu intimato d’andarsene dal reame napoletano con un altro editto, emesso il 31 ottobre del 1541. Queste norme rimasero in vigore nei secoli seguenti e furono conservate anche dopo la conquista militare del Mezzogiorno da parte della dinastia borbonica. Carlo di Borbone permise temporaneamente agli ebrei di ritornare nel suo reame, ma l’editto, emesso il 3 febbraio del 1740, fu ben presto abrogato, già nel 1747, cosicché da allora e sino al 1831 non fu concessa alcuna presenza ebraica nel regno di Napoli ed in quello di Sicilia.1
L’assenza d’ebrei nel Meridione, derivante da questa operazione di pulizia etnica, non impedì la conservazione negli strati sociali a cui s’appoggiava la monarchia borbonica d’un rabbioso antigiudaismo d’impronta religiosa, tanto che fra le cause della cancellazione del suddetto editto di tolleranza di Carlo di Borbone vi furono le pressioni congiunte di parte del clero e della popolazione stessa. Mezzo secolo più tardi, l’antisemitismo di Ferdinando I di Borbone e dei suoi sostenitori ebbe modo di manifestarsi in modo violento nel 1798-1799. Negli anni finali del secolo XVIII quella che viene definita la “prima emancipazione” degli ebrei italiani, conseguente alle dottrine rivoluzionarie, fu seguita da una controrivoluzione che colpì duramente le comunità ebraiche, con il saccheggio di ghetti, la cacciata d’intere collettività dai propri insediamenti aviti, massacri, assassini ed altre sopraffazioni. I territori dello stato pontificio furono quelli in cui avvennero gli accadimenti più rilevanti contro gli ebrei, con gravi violenze a Pesaro, Urbino, Ancona, Lugo e con tre autentici pogrom, a Roma e Velletri nel 1798 ed a Senigallia il 18 giugno 1799.2 Ebbero un ruolo fondamentale in questo le truppe borboniche e sanfediste, che avevano invaso la Repubblica Romana.3
Durante la disastrosa (per l’esercito borbonico) campagna militare intrapresa nel 1798, in cui il regno di Napoli mosse guerra alla Francia e fu totalmente sconfitto da forze nemiche di gran lunga inferiori numericamente alle sue, per un brevissimo periodo re Ferdinando con il suo esercito prese possesso di Roma. Il “re dei lazzaroni” ebbe cura di riportare gli ebrei allo stato di discriminazione anteriore, giacché «aveva […] ripristinato tutti gli antichi divieti e restrizioni»4, come la reclusione nel ghetto con la chiusura dei suoi portoni ed il “segno giallo” da indossare sui vestiti, che erano stati aboliti dalla repubblica, la quale aveva concesso l’equiparazione dei cittadini di religione ebraica a tutti gli altri romani. Inoltre la breve permanenza del Borbone e del suo esercito nell’Urbe fu segnato da gravi violenze. Il De Felice scrive che «la plebe sanfedista scatenata assalì il ghetto»,5 mentre il governo provvisorio definiva questo pogrom come frutto d’un eccesso di zelo (sic!) e si limitava ad annunciare in modo blando provvedimenti contro perturbatori dell’ordine pubblico, con un risultato prevedibile: «Naturalmente le aggressioni e i saccheggi non cessarono».6 Le autorità militari inoltre accollarono agli ebrei il costo esorbitante dell’occupazione, per un totale di 32.914 scudi e 22 baiocchi, imponendo una cifra enorme in rapporto ad una comunità così piccola: per dare un termine di paragone, nel 1797 le entrate comunitarie erano state di circa 6000 scudi, quindi meno di un quinto di quanto fu ingiunto come esazione bellica dai comandanti borbonici nel giro di pochi giorni.7
Al contempo la famelica truppa d’un «esercito straccione»,8 costituito arruolando alla rinfusa gente d’ogni sorta in una condizione di profonda disorganizzazione9 e senza assicurare neppure l’approvvigionamento, cosicché «i soldati e i cavalli intanto morivano di fame»,10 si diede al saccheggio delle proprietà ebraiche, non risparmiando neppure vestiti e polli.11 Le milizie di re Ferdinando avevano una cattiva nomea presso la popolazione prima ancora che arrivassero a Roma («pessima fama», scrive la studiosa Manuela Militi)12 ed erano costituite in parte da criminali comuni liberati o graziati con l’istituto giuridico cosiddetto del “truglio”, che rimetteva loro ogni pena a patto che prestassero servizio nell’esercito borbonico. La medesima prassi fu poi seguita nella costituzione dell’armata della “Santa fede” del Ruffo ed ancora nel 1806.13 È in questo modo che il noto Michele Pezza, alias fra’ Diavolo, fu arruolato nelle forze del “re nasone” proprio nel 1798, così ricevendo il condono degli assassinii che aveva compiuto in precedenza.14
Anche al di fuori di Roma vi furono violenze antiebraiche, che ebbero il proprio apice a Velletri dal 26 al 28 novembre, con una vera caccia all’uomo accompagnata dalla consueta messa al sacco di case e negozi. I caporioni del pogrom furono il pescivendolo Gioacchino Savelli, detto Cimarra, che già a Roma aveva istigato un’insurrezione contro gli ebrei durante il periodo repubblicano ed era poi ritornato nel Lazio dietro alla protezione offerta dalle baionette borboniche, ed il facchino Antonio Caprara, soprannominato “Senza culo” (sic!), che in seguito s’arruolerà nell’armata della “Santa fede” del Ruffo.15
Facilmente disfatte fra il dicembre del 1798 ed il gennaio del 1799 le armate di re Ferdinando da un esercito francese diverse volte inferiore di numero,16 bisognerà attendere il ritorno delle forze borboniche molti mesi più tardi, dopo la ritirata francese provocata dalle vittorie austro-russe in Svizzera ed Italia settentrionale, per assistere ad altre scene di sopraffazione contro gli ebrei di Roma. Si provvide a restaurare nuovamente la reclusione nel ghetto, il distintivo giallo ed in generale la legislazione antiebraica anteriore, come già era avvenuto durante la prima invasione borbonica del Lazio nell’anno precedente. L’armata del Borbone impose inoltre agli ebrei, ancora una volta, il pagamento delle spese d’occupazione militare, per un totale superiore a 26 mila ducati.17
Ancora, non appena l’esercito del “re lazzarone”, costituito da una miscellanea di truppe regolari, mercenari stranieri, criminali comuni, briganti ecc. entrò nell’Urbe, s’ebbero molte violenze contro gli ebrei, che videro la partecipazione congiunta di truppe borboniche e popolaccio. I disordini furono solo in parte repressi dalle autorità militari, che in buona misura lasciarono fare. Il Ruffo avrebbe infatti promesso alle “masse”, ossia ai reparti irregolari della sua armata, il saccheggio di Roma, secondo la prassi seguita da questo esercito. Un capomassa sanfedista, il Rodio, avrebbe ricevuto dal cardinale stesso con una lettera l’autorizzazione a procedere in tal senso: «Il Ghetto sarà la prima parte della Città, che esporrete al saccheggio».18 Anche gli uomini di fra’ Diavolo, in forza nell’esercito sanfedista ed accampatosi nei pressi del Tevere, rivendicavano ciò che gli sarebbe stato assicurato dal Ruffo ossia la licenza di saccheggiare, secondo quanto conferma nel suo diario l’allora abate e futuro cardinale Giuseppe Antonio Sala.19 Fra i sanfedisti compariva anche Antonio Caprara, che già era stato l’istigatore del pogrom di Velletri del 1798 e si trovava ora quale capobrigante sottoposto a Michele Pezza. Così questa coppia di personaggi era descritta nelle parole d’un nipote del cardinale Borgia: «il famoso Fra Diavolo, brigante fuoriuscito, omicidario imbastaro di professione, che davasi titolo di generale, avendo come capo di briganti un tale Antonio Capraro, alias senza culo, uomo villano ignorante, mulattiere e facchino di professione e si intitolava comandante».20
Commenta il De Felice che durante l’occupazione borbonica di Roma del 1799 soltanto «superiori motivi di politica […] salvarono il ghetto e preservarono gli ebrei da un vero e proprio massacro».21 Insomma, se non si ripeterono anche nell’Urbe le scene che avevano regolarmente accompagnato l’avanzata dell’armata detta della “Santa fede” dalla Calabria sino a Napoli fu solo perché non parve opportuno che la città del papa, capitale d’uno stato amico ed alleato come quello pontificio e centro universale della religione cattolica, subisse un eccidio di grandi proporzioni. Questo non impedì comunque che s’avessero gravi disordini provocati dalle indisciplinate ed incontrollabili turbe che componevano l’esercito del Ruffo. L’avvocato Antonio Galimberti, uno dei principali testimoni degli eventi legati alla Repubblica Romana ed alla sua fine, ricorda che le masse sanfediste si resero colpevoli di violenze e saccheggi sia a Roma, sia nel territorio limitrofo, nonostante alcuni tentativi di porre freno alle loro azioni.22
Al di fuori della Città eterna gli invasori poterono usare meno riguardi nei confronti della popolazione e specialmente degli ebrei, odiati dai sanfedisti per intolleranza religiosa. I fatti più gravi avvennero a Senigallia il 18 giugno del 1799 e nei giorni immediatamente successivi. Una forza congiunta di russi, turchi e sanfedisti, gli stranieri giunti per mare, gli altri da terra, bombardarono la città e la conquistarono, sottoponendola poi a saccheggio per cinque giornate. Furono numerosi i cittadini assassinati ed ancora di più quelli depredati, ma l’accanimento dei sanfedisti e dei loro alleati raggiunse il culmine contro la comunità ebraica locale. Tutte le case e tutti i negozi dei ebrei furono saccheggiati, mentre la sinagoga fu profanata, devastata e depredata. La «sfrenata canaglia», così definita da una dettagliata cronaca dei fatti come quella di Domenico Bossi nella sua Enarazione di quanto è accaduto in Sinigaglia nell’invasione dei Turchi e Russi, si comportò come uno stuolo di cavallette, vuotando completamente le abitazioni e gli esercizi commerciali, sino ai «cocci più vili e i chiodi più rugginosi. Lo persone restarono ignude affatto, e la massima parte senza camicia. Le abitazioni colla sola paglia sparsa sul terreno».23 Molti ebrei furono trucidati, ancora di più feriti. Tutti i membri superstiti della comunità ebraica, cinquecento o seicento circa, fuggirono nella notte. Dopo le devastazioni e le stragi del 1799 la comunità degli ebrei di Senigallia non riuscì più a riprendersi e decadde rapidamente.24
L’operato di re Ferdinando, del cardinale Ruffo e delle loro truppe nei territori pontifici ovvero della Repubblica Romana conferma, cronica debolezza militare a parte, il tratto fondamentale della reazione borbonica e sanfedista, che ha visto l’esigua oligarchia dominante cavalcare la tigre di masse amorfe accortamente aizzate e provenienti dal sottoproletariato e dal crimine comune, per le quali l’asserita e conclamata difesa della fede, interpretata in modo radicalmente intollerante, diveniva occasione o pretesto per atti puramente delinquenziali come saccheggi, stupri e vendette private. In questo contesto gli ebrei, piccolissima minoranza religiosa emarginata e discriminata, costituirono un bersaglio ideale per gli insorgenti, così come era avvenuto nel Medioevo e nell’era moderna nel corso di molte sollevazioni popolari in Germania, Francia ed Europa orientale, che avevano abbinato ostilità verso il “diverso” ed avidità.25 La differenza risiede nel fatto che nel 1798-1799 fu la stessa monarchia borbonica a sobillare ed appoggiare gli insorti, in questo modo ottenendo di sfruttare a proprio vantaggio l’aggressività anarchica degli strati più poveri della popolazione, che fu indirizzata verso i nemici veri o presunti dell’apparato di potere dominante nonostante essa fosse provocata dalla marginalità sociale e dall’estrema miseria causate proprio dalle politiche e dallo sfruttamento del ristretto ceto egemone. La comunità ebraica divenne così un capro espiatorio offerto ai sanfedisti dai loro burattinai, secondo quelle dinamiche psicologiche descritte da René Girard ed altri antropologi.26 Anche per questi meccanismi ed il loro interessato sfruttamento da parte di scaltri propagandisti l’antigiudaismo fu largamente condiviso dai cosiddetti insorgenti dell’era napoleonica. Ad esempio, pochi anni più tardi il 1799 la rivolta dei tirolesi guidata da Andreas Hofer nell’area alpina vide i pogrom antiebraici di Trento e d’Innsbruck: emblematicamente, anche la piccola minoranza dei protestanti fu duramente colpita e quasi interamente scacciata.27
La Restaurazione fu tale anche nei confronti degli ebrei, segnando per loro un ritorno alle condizioni dell’antico regime. Bisognerà attendere l’Unità d’Italia per vedere in tutta la penisola la cosiddetta “seconda emancipazione” ebraica, con la piena parificazione giuridica e sociale degli ebrei al resto della comunità nazionale italiana.28
1 M. Archivio, L’editto di espulsione degli Ebrei dal Regno di Napoli (1510) e la loro breve riammissione nel Settecento, in La Rassegna Mensile di Israel terza serie, vol. 43, n ° 1/2 (Gennaio – Febbraio 1977), pp. 32-35; F. Venturi, Settecento Riformatore. Da Muratori a Beccaria, Einaudi, Torino, 1998, pp. 86‐89.
2 R. G. Salvadori, 1799: gli ebrei italiani nella bufera antigiacobina, Firenze 1999. Per un inquadramento generale della condizione degli ebrei italiani nel periodo compreso fra l’assolutismo illuminato e gli anni della rivoluzione, cfr. M. Caffiero, Gli ebrei italiani dall’età dei Lumi agli anni della Rivoluzione, in Storia d’Italia. Annali 11. Gli ebrei in Italia, a cura di C. Vivanti, tomo II, Dall’emancipazione a oggi, Einaudi, Torino 1997, pp. 1089-1132.
3 Un’ottima sintesi d’insieme della condizione giuridica e sociale degli ebrei di Roma dall’Antico Regime alla Repubblica Romana, prima della temporanea restaurazione posteriore, è offerta da un articolo di Renzo De Felice: cfr. R. De Felice, Gli ebrei nella Repubblica romana del 1798-99, in Rassegna storica del Risorgimento, 1953, pp. 327-356.
4 De Felice, Gli ebrei, cit., p. 354.
5 Op. cit.
6 Op. cit.
7 De Felice, Gli ebrei, cit., p. 332; M. Militi, Il costo della Repubblica “sorella” per gli ebrei di Roma (febbraio 1798‐settembre 1799), in Eurostudium3w, aprile-giugno 2012, n. 23, Roma, pp. 100-105.
8 Sia consentita qui la citazione, di per sé d’origine letteraria ma corrispondente alla realtà storica: R. Nigro, I fuochi del Basento, Milano 1988, p. 38.
9 Sulla disorganizzazione dell’armata di re Ferdinando basti una breve descrizione dal Colletta: P. Colletta, Storia del reame di Napoli, Torino 1975: «I soldati, se allora coscritti, scontenti; se antichi, peggiori, perché usati alle male discipline di milizia sfaccendata o ribalda; gli usi di guerra nessuni, l’ordinarsi negli alloggiamenti, preparare il cibo, ripararsi dalle inclemenze delle stagioni, provvedere al maggior riposo, e, insomma, tutte le arti del miglior vivere, necessarie al sostegno delle forze, non praticate, né conosciute ne’ campi. L’amministrazione mal regolata ingrandiva i disordini; le distribuzioni incerte, il giungere dei viveri non misurati coi bisogni, sì che spesso vedèvi l’abbondanza dove mancava chi la consumasse, e presso a lei la penuria.»
10 Il Cuoco osserva che durante la campagna borbonica nel Lazio del 1798 «i viveri mancarono del tutto», cosicché «i soldati e i cavalli intanto morivano di fame»; V. Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, Bari 1976, p. 68.
11 Militi, Il costo della Repubblica, cit., pp. 100-101.
12 Ibidem, p. 100.
13 Sul truglio sono utili le considerazioni del professor Francesco Gaudioso dell’Università degli Studi del Salento: F. Gaudioso, Brigantaggio, repressione e pentitismo nel Mezzogiorno preunitario, Galatina 2002, pp. 11 sgg.
14 Su questa figura: B. Amante, Fra Diavolo e il suo tempo, Firenze 1904.
15 A. Damascelli, Cimarra e gli ebrei nella Repubblica romana del 1798-1799, in La repubblica romana tra giacobinismo e insorgenza 1798-1799, Roma 1992, pp. 39-60; Militi, Il costo della Repubblica, cit., pp.105-106.
16 A. Cretoni, Roma giacobina. Storia della Repubblica Romana del 1798-99, Roma 1971, pp. 275-291.
17 De Felice, Gli ebrei, cit., p. 355.
18 Il Monitore di Roma. Foglio nazionale, n. XXIII, 21 fruttifero anno VII repubblicano e II della Rep. Romana, (7 settembre 1799). Il De Felice giustamente commenta che i borbonici non contestarono l’autenticità di tale ordine, cosicché, sia esso stato dato o meno nella forma riportata da Il Monitore, pure doveva corrispondere ad intenzioni reali. De Felice, Gli ebrei, cit., p. 355.
19 G. A. Sala, Diario romano degli anni 1798‐99, in Scritti di Giuseppe Antonio Sala pubblicati sugli autografi da Giuseppe Cugnoni a cura di V. E. Giuntella, Società romana di storia patria, Roma, 1980; vol. III, p. 122: « dicono esser stato loro promesso il saccheggio del Ghetto».
20 A. Leone, G. Murat e Fra’ Diavolo a Velletri. Con documenti inediti, Torino 1912, p. 791.
21 De Felice, Gli ebrei, cit., p. 355.
22 A. Galimberti, Memorie dell’occupazione francese in Roma dal 1798 alla fine del 1802, Roma, Istituto nazionale di studi romani, 2004.
23 D. Bossi, Enarazione di quanto è accaduto in Sinigaglia nell’invasione dei Turchi e Russi, citato in De Felice, Gli ebrei,, cit., pp. 354-355.
24 A. Castracani, Gli ebrei a Senigallia tra Settecento ed Ottocento, pp. 155-187, in S. Anselmi-V. Bonazzoli (a cura di), La presenza ebraica nelle Marche. Secoli XIII-XX, quaderno 14 di “Proposte e ricerche”, Ancona 1993.
25 Sull’argomento, per il quale esiste ampia bibliografia, si forniscono qui solo alcuni riferimenti: G. Fourquin, Le sommosse popolari nel Medioevo, Milano 1976; G. Galasso, Le rivolte contadine nell’Europa del secolo XVII, Napoli 1970; S. Lombardini, Rivolte contadine in Europa (secoli XVI-XVII), Torino 1983.
26 Uno studio che offre una sintesi di molte prospettive ed analisi sul rapporto fra violenza e sacrificio è quello di R. G. Hamerton-Kelly (a cura di), Violent Origins: Walter Burkert, René Girard, and Jonathan Z. Smith on Ritual Killing and Cultural Formation, Stanford 1987.
27 Una raccolta di 680 documenti di Hofer, fra atti, lettere, appunti, è Andreas Hofer (1767-1810). Dalle fonti alla storia (Trento 2010). Si tratta d’uno studio elaborato da un ricercatore dell’Università di Innsbruck, Andreas Oberhofer, e curato nell’edizione italiana da Rodolfo Taiani e Valentina Bergonzi.
28 A. Canepa, Considerazioni sulla seconda emancipazione e le sue conseguenze, in La Rassegna Mensile di Israel terza serie, Vol. 47, No. 1/6, Numero speciale a cura del Centro Documentazione Ebraica Contemporanea (Gennaio-Giugno 1981), pp. 45-89; F. della Peruta, Gli ebrei nel Risorgimento fra interdizioni ed emancipazione, in Storia d’Italia, Annali II. Gli ebrei in Italia, a cura di C. Vivanti, Torino 1997.